Eugenio Anemone
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Inizi, cambiamenti e consapevolezze: come cresce un musicista, un cantautore, e come cambiano forma le idee e le convinzioni nel tempo in cui fermenta, matura e si assesta la personalità di un artista.
Che parta con il pianoforte, la chitarra, la tromba, il flauto, le percussioni, qualsiasi strumento o la voce, ognuno di noi inizia aspirando a fare della sua arte il suo mestiere. Nonché la sua ragione e il suo stile di vita. Coloro che approcciano alla musica come un hobby rappresentano una rara eccezione. Nella maggior parte dei casi, la musica finisce per diventare un hobby: in seguito ad uno stato di profonda delusione o, peggio ancora, rassegnazione. Si fanno i conti, ci si rende conto che le entrate non sono sufficienti, si accetta il primo lavoretto che si trova o si investono le proprie capacità in un ambito del tutto differente. E la chitarra inizia a farsi amica la polvere. Per la gioia di parenti e genitori che potranno finalmente dire in giro che l’ “artista” si è deciso a diventare adulto. Non che ci sia nulla di male, per carità: in qualche modo si deve pur campare! Tuttavia il musicista che si riconosce in quello che fa non accetta facilmente di sentirsi dire “trovati un lavoro, la musica è un hobby”. Si troverà sì un lavoro - che magari non avrà attinenza alcuna con la musica -, al quale, però, difficilmente riuscirà a dare il cuore, l’anima, la dedizione: il vero se stesso. Tirerà a campare impegnandosi a conservare il lavoro o a trovarne un altro se il precedente era precario o a termine. Ma conserverà la parte migliore di sé per la sua arte; per i momenti in cui avrà l’opportunità di presentarla, ostentarla, esaurirla e ricrearla. Tra questi artisti c’è chi ce la fa: chi arriva a fare della musica il proprio ed unico lavoro. A vari livelli: dall’insegnante di giorno e live performer la sera al cantautore da sold out e canzoni virali. Io invece sono uno di quelli che non ce l’ha fatta. Suono da quando avevo 8 anni ed ho “studiato” vari strumenti. La mia dimensione l’ho trovata cantando; ho iniziato a cantare che ero già ventenne - tardi rispetto ai grandi talenti. Non sono diventato né uno specialista né un virtuoso, ma ciò che ho imparato mi basta e mi soddisfa. Tuttavia, soddisfazione a parte, oggi dopo parecchi anni di esperienza, non vivo di sola musica. Intendiamoci, non ho alcuna intenzione di smettere ed ho ancora voglia di credere in molte cose. Soprattutto, al di là dei risultati (che si possano ritenere o meno soddisfacenti) penso di aver fatto ancora poco. Da quando ho iniziato ad oggi, però, nel mio rapporto con la musica è cambiato qualcosa: il peso. È un rapporto che oggi vivo con molta più leggerezza. Ho iniziato pretendendo tanto da me stesso e di più da ciò che mi stava intorno. Mi sembrava sempre di non aver fatto abbastanza, vivevo tutto come uno sbaglio e non me lo perdonavo. Poi è arrivato un pensiero, una grezza riflessione che ha rappresentato una specie di punto di rottura: se passati i trent’anni ancora litighi col localaro sulla mezza piotta concordata mesi prima, forse qualcosa lungo il percorso artistico è andato storto. (E pure il localaro non se la passa tanto meglio) È indispensabile saper accettare determinate realtà: non tutti possiamo avere il successo che speravamo; esiste chi è più bravo di me (ne esistono tanti, forse troppi); si può godere molto anche di piccoli successi in piccoli contesti. Ho imparato un po’ a ridere dei miei sbagli, degli insuccessi e dei difetti. Fermo restando che il compenso pattuito va preteso senza sconti. Ci tengo quindi a precisare che non è mia intenzione (non oggi) dare lezioni sulla gestione dei rapporti e degli ingaggi. Personalmente però, arrivato a questo punto, preferisco lasciar vuoto il campo Eventi per un po’ e non accettare serate da minatore in cui, oltre i tuoi sacrosanti strumenti, ti incolli le tue casse, le tue spie, il mixer, la tua borsa dei cavi che pesa centoquindici tonnellate perché nonsisamai, e arrivi al locale con le sospensioni della macchina maciullate; per sentirti dire alla fine della serata che il costo della cena te lo detraggono dal cachet e che visto che c’era poca gente sarebbe pure buon senso, per salvare le future collaborazioni, rinunciare a qualche euro di compenso. Live da quanto-seguito-c’hai? in cui ci si trova a suonare davanti a quattro parenti, tre amici e due sconosciuti sono inutili da vivere e da commentare. Dunque, per quel che mi riguarda, meglio due-tre concerti l’anno ben vissuti. Come un bel San Patrizio: in un pub dalla modesta metratura sì, ma pieno e partecipe.
Dal nuovo all'antico, dall'inedito al tradizionale. Un salto indietro nei secoli alla ricerca del rinnovo.
Dopo aver prodotto nel 2011 un primo album contenente undici brani originali, SOTTO GLI OCCHI DI NESSUNO, sei anni più tardi mi sono riproposto con PUB SONGS: una mia rivisitazione di nove famosissimi brani della tradizione irlandese. Ho quindi accantonato il cantautorato per dedicarmi ad un repertorio di cui la canzone più fresca ha 150 anni. Non che abbia smesso di scrivere, anzi! Dopo il primo disco però, ho sentito la necessità di creare un legame più diretto con i miei interlocutori, con chi ascoltava i miei lavori: con il pubblico. Un cantautore quando scrive un brano lo fa in primo luogo per se stesso. Molto spesso lo fa unicamente per se stesso. Anche quando scrive di qualcosa che non lo riguarda direttamente, esprime ciò che vede attraverso i suoi occhi o che percepisce attraverso le proprie sensazioni. Questo fa sì che le sue canzoni, indipendentemente da quanto vengono apprezzate, appartengano solo a lui. Il mio desiderio non era creare qualcosa che dicesse «ecco il mio lavoro: questo sono io». Io volevo lavorare su un patrimonio comune: presentare un pezzo di storia in una veste contemporanea e dar modo all’ascoltatore di scoprire qualcosa che già gli appartiene. Il titolo PUB SONGS è banalmente dovuto al fatto che le canzoni che lo compongono sono tra le più eseguite nei pub in Irlanda. Al di là di questo, comunque, i pub, soprattutto quelli in stile irlandese, rappresentano la mia ambientazione preferita: per trascorrere il tempo, per festeggiare qualcosa, per bere e mangiare, ma soprattutto per le esibizioni. In un pub riesco sempre a sentirmi a mio agio, in pace. Io suonerei sempre e solo nei pub. E infatti il più delle volte è così. Ho scelto le canzoni che compongono PUB SONGS per quello che io percepisco come legame con il contesto contemporaneo: raccontano di rapine e tradimenti, amori e delusioni, infatuazioni, giorni di festa e brindisi nei pub, viaggi nei mari e naufragi assurdi, antimilitarismo e scontri con le guardie (senza offesa, ma ai tempi si chiamavano così), matrimoni combinati e disfunzioni erettili senili. Tutte cose che esistono ancora, insomma. Naufragi assurdi inclusi. |
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